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martedì 2 luglio 2013

LE MACALUBE DI ARAGONA










ORIGINE DEL NOME

Il sostantivo Macalube (o secondo alcune versioni Maccalube) deriva dall’arabo Maqlùb che significa letteralmente “ribaltamento”. Il vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli, presenta il termine nella versione Maccaluba (s.f.) adducendo il seguente significato: “sorgente fangosa con emissioni di metano e anidride carbonica”. Dunque, il nome Maccalube, non è soltanto il toponimo con cui si indica la località, ma anche il nome delle manifestazioni eruttive che hanno le stesse proprietà e caratteristiche di quelle di Aragona.


Ad Aragona, a 4 km a SO del centro abitato ed a 15 Km a N di Agrigento, su un altipiano che si presenta come una landa brulla ricoperta da una coltre di marne cineree e al quale fanno corona il monte di Businé di Raffadali, il monte San Marco, la collina di Belvedere e il monte San Vincenzo, è attivo un fenomeno di pseudo-vulcanesimo “maccalube”, meglio conosciuto come “Occhio di Maccalube”, appellativo derivante dalla forma circolare della collina e dal colore biancastro che ha per la maggior parte dell’anno.
Le “Maccalube sono in attività da più di 2500 anni e da sempre hanno suscitato curiosità ed interesse, ed hanno alimentato la fantasia popolare, facendo nascere attorno a sé alcune credenze e leggende. 


STORIE E LEGGENDE
Finalmente il capitolo che preferisco, quello dedicato alle leggende. Le popolazioni locali chiamano il sito con l’appellativo di “Occhiu di Macalubi”, conferendogli delle caratteristiche umane.
Le più antiche descrizioni dell’area si devono a Platone, Aristotele, Diodoro Siculo e a Plinio il Vecchio, e all’epoca della dominazione romana, il fango che sgorgava dal terreno, veniva utilizzato per cure reumatiche e di bellezza.
Una di queste leggende vuole che i fenomeni eruttivi dell’area sarebbero iniziati nel 1087, a seguito di una sanguinosa battaglia tra Arabi e Normanni: il liquido grigiastro sospinto dall’attività eruttiva venne chiamato “sangu di li Saracini” (sangue dei Saraceni).
Un’altra leggenda racconta che in un tempo molto lontano, nell’attuale luogo, ci fosse una città di nome Cartagine, che un giorno, a causa di un’offesa fatta alla divinità locale, fosse sprofondata nelle viscere della terra, oppure si fosse “ribaltata”.
Inoltre si pensa che ogni sette anni, a mezzanotte in punto, al centro della collinetta compare un gallo che si mette a cantare e improvvisamente riaffiora la piazza con il mercato dell’antica Cartagine.
Chi si trova nelle vicinanze e senza timore riesce ad avventurarsi nel mercato, vedrà tramutato in oro tutto quello che comprerà e potrà arricchirsi in un batter d’occhio. Non deve, però, farsi prendere dalla paura e nell’attraversare la piazza non deve mai voltarsi indietro altrimenti tutto scomparirà improvvisamente come è apparso.


Il filosofo greco Platone ne parla nel “Fedone”; Plinio il Vecchio in “Naturalis Historia”. L’antico scrittore latino, geografo Solino, vissuto probabilmente intorno al 230 d.C., nella “Polystor”, così sriveva: “In un laghetto di Agrigento spunta a galla una sostanza oleosa”….”Lo stesso luogo di Agrigento fa uscire dal suo interno con impeto zampilli pieni di terriccio, e come le sorgenti sono capaci di alimentare i ruscelli così, non perdendo mai vigore, il suolo in questa parte della Sicilia manda fuori terra vomitando eternamente”.
Alla fine del 1400, Tommaso Fazello, nel “De Mirabilys Siciliae”, definisce le Maccalube “cosa degna di meraviglia”, riferendosi alle “novità” e ai cambiamenti apportati dall’eruzione.
Nel 1700 Deodat De Dolomieu fa un’efficace descrizione dell’eruzione: “Scosse di terremoto violentissime, che si fanno sentire a due tre miglia di lontananza sono seguite da un rombo di tuono sordo e sotterraneo, quindi hanno luogo numerose eruzioni che lanciano in aria terra, fango e argilla liquida unita a sassi…”.
Guy de Maupassant in “Viaggio in Sicilia” paragona i vulcanelli a “pustole, a una mostruosa malattia della natura, …ad un’orribile suppurazione del suolo, …lanciano a volte pietre a grande altezza e rumoreggiano stranamente emettendo dei gas. Sembrano brontolare, sporchi, vergognosi, piccoli vulcani bastardi e lebbrosi, ascessi scoppiati”.

Periodicamente la collinetta delle Maccalube è sconvolta da eruzioni eruttive esplosive, accompagnate da boati, con espulsioni di materiale argilloso misto a gas ed acqua scagliato a notevole altezza e dovute alla pressione esercitata da ammassi di gas accumulatisi nel tempo al di sotto della sua superficie.
Molti ricordano ancora l’eruzione che si è verificata intorno alla metà di Aprile del 1995, così violenta da destare, in chi ha avuto la fortuna di assistere a questo spettacolo della natura, meraviglia e terrore nello stesso tempo.
Le zolle di terra, spinte dal gas, si alzavano a 20-30 m. di altezza ricadendo poi sul suolo, che alla fine dell’eruzione assumeva un aspetto completamente diverso.
La collinetta, solitamente biancastra, per la presenza di polvere di cristallo di calcite, appariva ora scura e il terreno, in genere compatto, a causa della fanghiglia argillosa che vi si deposita, somigliava a un terreno appena arato. Non sembrava più lo stesso posto; soltanto la presenza di alcune chiazze di fanghiglia da cui affioravano bollicine di gas faceva riconoscere il sito delle Maccalube. Un’altra eruzione di notevole entità si è verificata nel mese di luglio del 1998 ed altre ne sono susseguite, con una cadenza periodica di circa tre-cinque anni, ridotta rispetto ai periodi precedenti (sette anni).
L’«Occhio di Maccalube», per la sua importanza e notorietà, oggi è diventato meta di studiosi provenienti da ogni parte del mondo e luogo di richiamo per escursioni scolastiche a carattere scientifico; per la sua valenza naturale e culturale è stato riconosciuto “Riserva naturale integrale”, gestita dalla Legambiente.
Maria Cristina Castellucci definisce le Maccalube “quasi un frammento di luna precipitato per caso”. Il vulcanologo Marcello Carapezza sostiene che “valgono quanto un tempio greco” e ci fornisce i dati geo-chimici sulla composizione dei gas presenti nelle Maccalube, che, come risulta dagli atti del Convegno tenutosi ad Aragona il 10 Aprile 1983, sono i seguenti: 97,7% metano 0,9% anidride carbonica 0,9% azoto 0,9% ossigeno più argon 0,2% ossido di carbonio 193 parti per un milione elio ed asserisce che “è inutile trivellare il terreno” perché il gas, nonostante sia presente in una percentuale così alta, non si troverebbe mai, in quanto è collocato a profondità veramente notevoli, circa dodici chilometri.







 (Fonti:web,V.Novelli,G. Buscemi )