ORIGINE
DEL NOME
Il sostantivo Macalube (o secondo alcune versioni Maccalube) deriva dall’arabo Maqlùb che significa letteralmente “ribaltamento”. Il vocabolario della lingua
italiana di Nicola Zingarelli, presenta il termine nella versione Maccaluba (s.f.) adducendo il seguente
significato: “sorgente fangosa con emissioni di metano e anidride carbonica”.
Dunque, il nome Maccalube, non è soltanto il toponimo con cui si indica la
località, ma anche il nome delle manifestazioni eruttive che hanno le stesse proprietà
e caratteristiche di quelle di Aragona.
Ad Aragona, a 4 km a SO del centro
abitato ed a 15 Km a N di Agrigento, su un altipiano che si presenta come una
landa brulla ricoperta da una coltre di marne cineree e al quale fanno corona
il monte di Businé di Raffadali, il monte San Marco, la collina di Belvedere e
il monte San Vincenzo, è attivo un fenomeno di pseudo-vulcanesimo “maccalube”,
meglio conosciuto come “Occhio di Maccalube”, appellativo derivante dalla forma
circolare della collina e dal colore biancastro che ha per la maggior parte
dell’anno.
Le “Maccalube sono in attività da più di
2500 anni e da sempre hanno suscitato curiosità ed interesse, ed hanno
alimentato la fantasia popolare, facendo nascere attorno a sé alcune credenze e
leggende.
STORIE
E LEGGENDE
Finalmente
il capitolo che preferisco, quello dedicato alle leggende. Le popolazioni
locali chiamano il sito con l’appellativo di “Occhiu
di Macalubi”, conferendogli delle caratteristiche umane.
Le più
antiche descrizioni dell’area si devono a Platone, Aristotele, Diodoro Siculo e
a Plinio il Vecchio, e all’epoca della dominazione
romana, il fango che sgorgava dal terreno, veniva utilizzato per cure reumatiche e di bellezza.
Una di
queste leggende vuole che i fenomeni
eruttivi dell’area sarebbero iniziati nel 1087, a seguito di una sanguinosa
battaglia tra Arabi e Normanni: il liquido grigiastro sospinto dall’attività
eruttiva venne chiamato “sangu di li Saracini”
(sangue dei Saraceni).
Un’altra leggenda racconta
che in un tempo molto lontano, nell’attuale luogo, ci fosse una città di nome Cartagine, che un giorno, a
causa di un’offesa fatta alla divinità locale, fosse sprofondata nelle viscere
della terra, oppure si fosse “ribaltata”.
Inoltre si
pensa che ogni sette anni, a
mezzanotte in punto, al centro della collinetta compare un gallo che si mette a
cantare e improvvisamente riaffiora la piazza con il mercato dell’antica
Cartagine.
Chi si trova
nelle vicinanze e senza timore riesce ad avventurarsi nel mercato, vedrà tramutato in oro tutto quello che comprerà
e potrà arricchirsi in un batter d’occhio. Non deve, però, farsi prendere dalla
paura e nell’attraversare la piazza non deve mai voltarsi indietro altrimenti
tutto scomparirà improvvisamente come è apparso.
Il filosofo greco Platone ne parla nel
“Fedone”; Plinio il Vecchio in “Naturalis Historia”. L’antico scrittore latino,
geografo Solino, vissuto probabilmente intorno al 230 d.C., nella “Polystor”,
così sriveva: “In un laghetto di Agrigento spunta a galla una
sostanza oleosa”….”Lo stesso luogo di Agrigento fa uscire dal suo interno con
impeto zampilli pieni di terriccio, e come le sorgenti sono capaci di
alimentare i ruscelli così, non perdendo mai vigore, il suolo in questa parte
della Sicilia manda fuori terra vomitando eternamente”.
Alla fine del 1400, Tommaso Fazello, nel
“De Mirabilys Siciliae”, definisce le Maccalube “cosa degna di meraviglia”,
riferendosi alle “novità” e ai cambiamenti apportati dall’eruzione.
Nel 1700 Deodat De Dolomieu fa
un’efficace descrizione dell’eruzione: “Scosse di terremoto
violentissime, che si fanno sentire a due tre miglia di lontananza sono seguite
da un rombo di tuono sordo e sotterraneo, quindi hanno luogo numerose eruzioni
che lanciano in aria terra, fango e argilla liquida unita a sassi…”.
Guy de Maupassant in “Viaggio in Sicilia” paragona i
vulcanelli a “pustole, a una mostruosa malattia della natura, …ad un’orribile
suppurazione del suolo, …lanciano a volte pietre a grande altezza e
rumoreggiano stranamente emettendo dei gas. Sembrano brontolare, sporchi,
vergognosi, piccoli vulcani bastardi e lebbrosi, ascessi scoppiati”.
Periodicamente la collinetta delle
Maccalube è sconvolta da eruzioni eruttive esplosive, accompagnate da boati,
con espulsioni di materiale argilloso misto a gas ed acqua scagliato a notevole
altezza e dovute alla pressione esercitata da ammassi di gas accumulatisi nel
tempo al di sotto della sua superficie.
Molti ricordano ancora l’eruzione che si
è verificata intorno alla metà di Aprile del 1995, così violenta da destare, in
chi ha avuto la fortuna di assistere a questo spettacolo della natura,
meraviglia e terrore nello stesso tempo.
Le zolle di terra, spinte dal gas, si
alzavano a 20-30 m. di altezza ricadendo poi sul suolo, che alla fine
dell’eruzione assumeva un aspetto completamente diverso.
La collinetta, solitamente biancastra,
per la presenza di polvere di cristallo di calcite, appariva ora scura e il
terreno, in genere compatto, a causa della fanghiglia argillosa che vi si
deposita, somigliava a un terreno appena arato. Non sembrava più lo stesso
posto; soltanto la presenza di alcune chiazze di fanghiglia da cui affioravano
bollicine di gas faceva riconoscere il sito delle Maccalube. Un’altra eruzione
di notevole entità si è verificata nel mese di luglio del 1998 ed altre ne sono
susseguite, con una cadenza periodica di circa tre-cinque anni, ridotta
rispetto ai periodi precedenti (sette anni).
L’«Occhio di Maccalube», per la sua
importanza e notorietà, oggi è diventato meta di studiosi provenienti da ogni
parte del mondo e luogo di richiamo per escursioni scolastiche a carattere
scientifico; per la sua valenza naturale e culturale è stato riconosciuto
“Riserva naturale integrale”, gestita dalla Legambiente.
Maria Cristina Castellucci definisce le
Maccalube “quasi un frammento di luna precipitato per caso”. Il vulcanologo
Marcello Carapezza sostiene che “valgono quanto un tempio greco” e ci fornisce
i dati geo-chimici sulla composizione dei gas presenti nelle Maccalube, che,
come risulta dagli atti del Convegno tenutosi ad Aragona il 10 Aprile 1983,
sono i seguenti: 97,7% metano 0,9% anidride carbonica 0,9% azoto 0,9% ossigeno
più argon 0,2% ossido di carbonio 193 parti per un milione elio ed asserisce
che “è inutile trivellare il terreno” perché il gas, nonostante sia presente in
una percentuale così alta, non si troverebbe mai, in quanto è collocato a
profondità veramente notevoli, circa dodici chilometri.
(Fonti:web,V.Novelli,G. Buscemi )